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Crimini dimenticati 1944: così morì Jolanda
Il Giornale 29/11/06

Crimini dimenticati 1944: così morì Jolanda

La vicenda di Jolanda Dobrilla è venuta alla luce nel corso delle ricerche
di due studiosi, Enrico Carloni e Pietro Cappellari, che da diversi anni
stanno ricostruendo la vicende del Reatino nel corso dell'ultima guerra e in
particolare dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943. Il materiale costituirà
un'opera in tre volumi - Storia della guerra civile sull'Appennino
umbro-laziale (1943-1946) - edita dalla Fondazione Istituto Storico della
Rsi (www.istitutostoricorsi.org), il cui primo volume, dedicato alla
provincia di Rieti, uscirà il prossimo anno. Seguiranno un volume sulla
provincia di Terni e uno sulla provincia di Perugia. La famiglia della
ragazza scomparsa è stata rintracciata grazie alle ricerche compiute dalla
Libera Provincia dell'Istria in Esilio, riconosciuta dallo Stato italiano
nel 1954, dopo l'abbandono dei territori istriani, passati alla Jugoslavia

***

Era veramente carina. Carina e irrequieta, come lo sono molte adolescenti,
già donne nel fisico e ancora bambine nell'anima. Quando Jolanda Dobrilla,
nata a Capodistria il 20 agosto 1927, scomparve da casa, aveva sedici anni.
Una fuga d'amore, si disse, perché si era incapricciata di un giovane
ufficiale e lo aveva seguito verso il sud. O forse la sua era solo un'ultima
ribellione verso la famiglia con la quale aveva frequenti contrasti: una
modesta famiglia istriana, il padre, Mario, operaio, la madre Ines
Pugliese,tutta casa e figli.

Non erano ferventi fascisti, si tenevano defilati, senza dissentire e senza
applaudire più del necessario.
Poiché Jolanda era anche molto intelligente, si erano sacrificati per farla
studiare al Liceo Combi di Capodistria. Ma lei aveva piantato tutto da un
giorno all'altro. Oggi, a distanza di tanti anni, il momento della sua fuga
da Capodistria sfuma nell'incertezza. Avvenne a febbraio o ai primi di
settembre del 1943? Il particolare è importante perché se Jolanda fuggì ai
primi di settembre,si trovò quasi subito nell'Italia tagliata in due dalle
vicende seguite all'armistizio.

Dov'era Jolanda nei giorni successivi all'8 settembre 1943? Questo non lo
sappiamo. Non lo sapevano neppure i famigliari che la cercavano
affannosamente e che continuarono a cercarla, dopo la guerra, quando nel
1953 abbandonarono l'Istria ceduta alla Jugoslavia e si rifugiarono a
Trieste. Sua madre non si rassegnò mai alla sparizione della figlia e morì
con quella spina nel cuore. Ma forse fu meglio per lei non avere saputo più
nulla.

Nel tardo autunno del 1943 troviamo Jolanda a Velletri, aggregata al comando
della Wehrmacht in qualità di interprete. Al liceo di Capodistria, infatti,
aveva studiato il tedesco. Il Reatino costituisce a quell'epoca una zona di
retrofronte, dove sono presenti truppe tedesche e dell'esercito repubblicano
(gli Alleati sono già sbarcati ad Anzio). Il comando germanico si trova a
Rieti, dove risiedono anche le autorità fasciste perché la provincia di
Rieti fa parte della Rsi.

Nel novembre un terribile bombardamento alleato colpisce Velletri,facendo
molte vittime nel reparto cui la giovanissima interprete è aggregata.
Jolanda fugge da Rieti verso le campagne. Sola e senza mezzi, trova rifugio
presso la famiglia di un falegname, sfollata da Terni, città martoriata in
quegli stessi giorni dalle bombe. La famiglia Papucci è sistemata in una
casetta d'affitto a Lùgnola, minuscola frazione del piccolo borgo di
Configni sull'Appennino, in provincia di Rieti.

Una terra bellissima di monti, valli, castagni: sembra ai confini del mondo,
ma non sfugge alla tragedia.Da sempre punto di transito delle truppe armate
dirette al Nord, Configni vive il drammatico scontro fra le truppe
italo-tedesche e le formazioni partigiane, qui particolarmente agguerrite.
Il Monte San Pancrazio, un susseguirsi di cime e di forre solitarie, è il
rifugio della banda «Giovanni Manni», capeggiata da Egisto Bartolucci. La
«Manni» a sua volta fa parte della brigata comunista «Gramsci», il cui
territorio d'azione si estende lungo l'Appennino fino all'Umbria. La comanda
Elbano Renzi ed è forte di circa 400 uomini.

Gli agguati continui dei partigiani, gli attacchi ai treni, lo stillicidio
di morti (viene ucciso tra gli altri un capitano medico tedesco che gestiva
un'infermeria aperta anche ai civili), fanno scattare un gigantesco
rastrellamento. Il 12 aprile 1944 parte l'operazione «Osterei» («Uovo di
Pasqua»): vi partecipano circa mille uomini, un battaglione del 3°
reggimento tedesco «Brandenburg», un battaglione delle SS, due reparti della
3° e 90° Panzergrenadierdivision e alcuni della Gnr.Non ci sono scontri con
le formazioni partigiane che si sciolgono e si nascondono, ma un'immane
caccia all'uomo che dal Reatino si spinge verso l'Umbria e si risolve in una
macabra mattanza: 296 vittime, in maggioranza civili e spesso estranei alle
azioni dei «ribelli».

La banda «Manni», che agisce più a sud, sul momento non viene toccata, ma
dopo alcune azioni di disturbo, i tedeschi assaltano il Monte San Pancrazio,
catturano una decina di uomini e li fucilano. Da Roma, la dirigenza del
Pci,preoccupata dello sbandamento delle sue formazioni più agguerrite, invia
nel Reatino un alto dirigente, Aladino Bibolotti, che si incontra con il
nuovo comandante della «Gramsci», Alfredo Filipponi.

L'ordine è: morte alle spie fasciste, sono loro i colpevoli, devono pagare.
E da quel giorno si scatena la caccia all'uomo. Dal 18 aprile il martoriato
confine fra il Ternano e il Reatino si trasforma in un «triangolo della
morte» che i testi sulla guerra civile per lo più ignorano. Isolati,
respinti anche dalla popolazione,
che addossa loro la responsabilità dei rastrellamenti, i partigiani si
vendicano. Squadre della morte prelevano le persone e uccidono
abbandonandosi ad atti di estrema ferocia. Configni, Vasciano di Stroncone,
Morro Reatino, Miranda di Terni, Casteldilago, Monterivoso di Ferentillo:
sono i luoghi dove regna il terrore.

Jolanda Dobrilla in quei giorni è dai Papucci dove ricambia l'ospitalità
sbrigando le faccende domestiche. Ma ha il chiodo fisso di tornare a casa
sua, e chiede passaggi ai reparti tedeschi che si spostano verso nord.Sarà
questo, oltre al fatto che parla il tedesco, a segnare la sua condanna. La
prelevano il 23 aprile 1944, il Papucci e un ragazzo di Configni con cui nel
frattempo si è fidanzata, cercano invano di difenderla. Gli uomini della
«Manni» trascinano Jolanda verso la località di Finocchieto di Stroncone,
dove si perdono per sempre le sue tracce. Il capo del provincia di Rieti
invia sul luogo il giovane milite della Gnr Primo De Luca, con il compito di
rintracciare la ragazza. Saranno i pastori dei Prati di Sotto di
Cottanello,una località deserta, segnata dai fumi delle carbonaie, a dare
all'uomo la conferma: Jolanda Dobrilla, sedici anni e otto mesi, è stata
fatta saltare in aria, le hanno tirato addosso una bomba a mano del tipo
«Balilla». Poi hanno bruciato il corpo in una carbonaia.

De Luca riferisce tutto ai carabinieri di Configni ma non riesce a tornare
al suo comando. Prelevato anche lui da due uomini della «Manni», viene
portato verso Vasciano di Stroncone. Lì in località Le Ville, presso un
fontanile, un vecchio contadino di Vasciano,Romeo Nazzareno Feriani, lo vede
in mezzo ai partigiani e ingenuamente protesta: «Ma che cosa fate? Dai,
lasciatelo andare, è un ragazzo». Una revolverata gli chiude per sempre la
bocca. Poi tocca a De Luca, ucciso con una raffica di mitra alle spalle
davanti al muro del cimitero di Vasciano.

Il 13 giugno 1944 gli Alleati sfondano il fronte italo-tedesco: la guerra
per la gente del Reatino è finita, meglio dimenticare. Ma non dimentica il
testardo maresciallo dei carabinieri di Configni, Angelo Fregoli,che nel
giugno del 1947 indaga fra i pastori di Finocchieto di Stroncone e
ricostruisce la fine di Jolanda Dobrilla, Primo De Luca e Romeo Nazzareno
Feriani, su incarico del giudice istruttore del tribunale di Terni.

Gli ex partigiani della banda «Manni» Luigi Menichelli e Francesco Marasco
sono ritenuti colpevoli dell'uccisione di Dobrilla, Egisto Bartolucci e
Francesco Marasco sono invece gli assassini di De Luca e Feriani. Li
inchiodano le testimonianze dei pastori del luogo che hanno anche ritrovato
i resti carbonizzati del corpo della ragazza e visto i maiali affamati che
ne rosicchiavano le ossa.Ma il 21 novembre 1950 la sezione istruttoria
presso la Corte d'appello di Roma, presieduta da Alessandro Varallo, li
assolve perché quelli che hanno compiuto sono da considerarsi «atti di
guerra».

Solo pochi anni fa i fratelli superstiti di Jolanda hanno saputo la verità
sulla fine della sorella. Nessuno, neppure i magistrati, si premurò di
informare la famiglia durante l'istruttoria.

Il Giornale 29/11/06

 

TERRORE A TRIESTE