Pagine tratte da "Le stragi delle Foibe - due presidenti a
Basovizza", Marcello Lorenzini, Trieste 1994, Comitato per le
Onoranze ai Caduti delle Foibe.
Le orride voragini del
Carso
I partigiani di Tito
invadono Trieste
Quaranta giorni di
terrore
La carneficina al pozzo
della Miniera
Le vittime e i carnefici
LE ORRIDE VORAGINI DEL CARSO
Primavera 1945. Trieste nuovamente «sottoposta a durissima
occupazione straniera, subiva con fierezza il martirio delle
stragi e delle foibe, non rinunciando a manifestare attivamente
il suo attaccamento alla Patria». Lo proclama un solenne
documento dello Stato, firmato da due Presidenti della
Repubblica, Luigi Einaudi e Giovanni Gronchi, con il quale è
stato concesso alla Città I'oro della massima ricompensa al
valor militare.
Il passo citato è indiscutibilmente il più importante e
incisivo della motivazione, che pur ne contiene altri di molta
rilevanza per il riferimento alle lotte irredentistiche,
all'eroismo dei volontari triestini nella Grande Guerra, alla
resistenza contro I'«artiglio nazista».
«Le foibe». Un tempo la parola «foiba» apparteneva quasi
esclusivamente al linguaggio degli abitanti del Carso, ai
geologi, agli speleologi. Oggi è più conosciuta - ma non tanto
- a seguito del lugubre significato di orrore e di morte.
L'altipiano roccioso del Carso, che si estende su notevole parte
della Venezia Giulia, è da paragonarsi ad una immensa groviera.
Il suolo è costellato di numerose voragini - ne sono state
contate 1700 - che sprofondano per centinaia di metri nelle
viscere della terra, spesso percorse dalle acque. Appunto, le
foibe, misteriose, impressionanti, impenetrabili. E accanto ad
esse cavità di ogni genere, cunicoli, grotte, acque che scorrono
fra tortuosi, profondi meandri.
I due fenomeni più spettacolari di questo mondo sotterraneo
le celebri Grotte di Postumia e il fiume Timavo. Questo, dopo un
percorso in superficie di circa 40 chilometri, si getta negli
abissi e prosegue per altrettanti chilometri fino alla
profondità di 300 metri, per ricomparire immediatamente in
faccia al mare e finire nel golfo di Trieste. Lo ricorda anche il
poeta latino Virgilio nell'«Eneide». In complesso, una natura
unica, forte di massimo rispetto, ma buona, che purtroppo gli
uomini hanno più volte profanata e violentata. E così le foibe
sono diventate strumento di martirio e orrida tomba per migliaia
di infelici. Ed ecco i fatti.
I PARTIGIANI DI TITO INVADONO TRIESTE
Alla fine dell'aprile 1945 le armate tedesche si arrendono e
l'Italia, stremata e straziata, esce dal «tunnel» di una guerra
disastrosa, ed esulta per la fine di tante sofferenze e per le
prospettive di pace. Non così Trieste, l'Istria, le terre del
confine orientale. Su di esse si avventano contro i patti, vide
di conquista e di vendetta, le truppe partigiane del maresciallo
jugoslavo Tito all'insegna della stella rossa. I neozelandesi,
con insipiente imprevidenza degli alti comandi anglo-americani,
arriveranno in ritardo e poi staranno a guardare. Trieste,
l'Istria, Gorizia precipitano così dalla feroce oppressione
nazista nell'altrettanto feroce oppressione slavo-comunista. Ai
forni crematori e ai "lagher" della Germania subentrano
le foibe e i «lagher» balcanici.
A Trieste, le due invasioni, le due oppressioni, tedesca e
jugoslava, nazista e comunista, hanno lasciato segni tremendi: la
Risiera e le Foibe, in particolare quelle di Basovizza e di
Opicina. Sono le due fosse comuni più grandi e più tragiche
esistenti in Italia. Per la Risiera di San Sabba - un antico
impianto industriale per la lavorazione del riso, alla periferia
della città - passarono migliaia di ebrei e di partigiani di
Tito o ritenuti tali, rastrellati dai tedeschi nella regione ed
avviati ai campi di sterminio in Germania; molti però furono
eliminati fra quelle squallide mura. Oggi la Risiera è
classificata «monumento nazionale».
Come detto, alla Risiera, senza soluzione di continuità, si
succedettero le foibe, che ingoiarono soprattutto migliaia di
italiani. La tecnica di eliminazione nelle foibe era già stata
collaudata e praticata dalle bande partigiane di Tito nella prima
invasione dell'Istria, dopo l'8 settembre 1943. Le vittime
ammontarono a centinaia. Molte salme furono recuperate allorché
i tedeschi ricacciarono i partigiani. Quei cadaveri misero in
agghiacciante evidenza la crudeltà, la ferocia degli
infoibatori: corpi denudati e martoriati, mani legate con il filo
di ferro fino a straziare le carni, colpi alla nuca, sevizie
orrende di ogni genere.
QUARANTA GIORNI DI TERRORE
Questa tecnica di tortura e di morte venne applicata su più
vasta scala anche nell'invasione jugoslava della primavera 1945 a
Trieste e altrove. Accanto alle foibe istriane, altre foibe del
Carso inghiottirono italiani, tedeschi ed anche sloveni
antititini. E alle foibe si aggiunsero le deportazioni per altre
migliaia di disgraziati, molti dei quali non conobbero ritorno.
Ecco quanto ha scritto sui tragici 40 giorni dell'occupazione,
jugoslava Diego De Castro, che fu rappresentante italiano presso
il Governo militare alleato a Trieste:
" (...) forse non è inutile ricordare agli altri
italiani quali furono gli orrori dell'occupazione jugoslava di
Trieste e dell'Istria: gli spari del maggio 1945 contro un corteo
di italiani inermi con cinque morti e innumerevoli feriti, le
razzie di miliardi di allora nelle banche. nelle società, negli
enti pubblici. A tutti i nostri connazionali è ormai nota la
lugubre parola foiba e tutti sanno che cosa sono i campi di
concentramento."
Sul ciglione carsico, a 9 chilometri da Trieste, sorge la
borgata di Basovizza. Nei pressi si apriva il "Pozzo della
miniera", oggi meglio conosciuto come "Foiba di
Basovizza", divenuta simbolo di tutte le foibe del Carso e
dell'Istria, e di tutti i luoghi che videro il martirio e la
morte atroce di italiani, sia per il numero delle vittime che ha
inghiottito, sia tragicità delle vicende connesse alla strage
colà perpetrata.
LA CARNEFICINA AL POZZO DELLA MINIERA
Occorre precisare che questa tristemente famosa voragine non
è una foiba naturale, ma, appunto come si accennato sopra, il
pozzo di una miniera scavato all'inizio del secolo fino alla
profondità di 256 metri, nella speranza di trovarvi il carbone.
La speranza andò delusa e l'impresa venne abbandonata. Nessuno
allora si curò di coprire l'imboccatura e così, nel 1945, il
pozzo si trasformò in una grande, orrida tomba.
Un documento allegato a un dossier sul comportamento delle
truppe jugoslave nella Venezia Giulia durante l'invasione,
dossier presentato dalla delegazione italiana alla conferenza di
Parigi nel 1941, descrive la tremenda via-crucis delle vittime
destinate ad essere precipitate nella voragine di Basovizza, dopo
essere state prelevate nelle case di Trieste, durante alcuni
giorni di un rigido coprifuoco.
Lassù arrivavano gli autocarri della morte con il loro carico
di disgraziati. Questi, con le mani straziate dal filo di ferro e
spesso avvinti fra loro a catena, venivano sospinti a gruppi
verso l'orlo dell'abisso. Una scarica di mitra ai primi faceva
precipitare tutti nel baratro. Sul fondo chi non trovava morte
istantanea dopo un volo di 200 metri, continuava ad agonizzare
tra gli spasmi delle ferite e le lacerazioni riportate nella
caduta tra gli spuntoni di roccia. Molte vittime erano prima
spogliate e seviziate.
LE VITTIME E I CARNEFICI
Ma chi erano le vittime? Italiani di ogni estrazione: civili,
militari, carabinieri, finanzieri, agenti di polizia e di
custodia carceraria, fascisti e antifascisti, membri del Comitato
di liberazione nazionale. Contro questi ultimi ci fu una caccia
mirata, perchè in quel momento rappresentavano gli oppositori
più temuti delle mire annessionistiche di Tito.
Furono infoibati anche tedeschi vivi e morti, e sloveni
anticomunisti.
Quante furono le vittime delle foibe? Nessuno lo saprà mai!
Di certo non lo sanno neanche gli esecutori delle stragi. Questi
non hanno parlato e non parlano. Finora qui non si è alzato
alcun Otello Montanari come a Reggio Emilia, ad ammonire i
compagni comunisti. D'altra parte è, pensabile che in quel clima
di furore omicida e di caos ben poco ci si curasse di tenere la
contabilità delle esecuzioni.
Sulla base di vari elementi si calcola che gli infoibati
furono alcune migliaia. Più precisamente, secondo lo studioso
triestino Raoul Pupo, "il numero degli infoibati può
essere calcolato tra i 4 mila e i 5 mila, prendendo come
attendibili i libri del sindaco Gianni Bartoli e i dati degli
anglo-americani".
Alle vittime delle foibe vanno aggiunti i deportati, anche
questi a migliaia, nei lagher jugoslavi, dai quali una gran parte
non conobbero ritorno. Complessivamente le vittime di quegli anni
tragici, soppresse in vario modo da mano slavo-comunista, vengono
indicati in 10 mila anche più. Belgrado non ha mai fatto o
contestato cifre. Lo stesso Tito però ammise la grande mattanza.
Per quanto riguarda specificamente le persone fatte
precipitare nella Foiba di Basovizza, è stato fatto un calcolo
inusuale e impressionante.
Tenendo presente la profondità del pozzo prima e dopo la
strage, fu rilevata la differenza di una trentina di metri. Lo
spazio volumetrico - indicato sulla stele al Sacrario di
Basovizza in 300 metri cubi - conterrebbe le salme degli
infoibati: oltre duemila vittime! Una cifra agghiacciante. Ma
anche se fossero la metà, questa rappresenterebbe pur sempre una
strage immane. A guerra finita!
E i carnefici? lndividui rimasti senza volto. Comunque è
ritenuto certo che agirono su direttive deII'OZNA, la famigerata
polizia segreta del regime titino, i cui agenti calarono a
Trieste con le liste di proscrizione e si servirono di
manovalanza locale. Nell'invasione jugoslava di Trieste e di ciò
che ne seguì i comunisti locali hanno responsabilità
gravissime. In quei giorni le loro squadre con la stella rossa
giravano per la città a pestare e ad arrestare. Loro elementi formavano il nerbo della
"difesa popolare".
pagine tratte da "Le stragi delle Foibe - due presidenti
a Basovizza", Marcello Lorenzini, Trieste 1994, Comitato per
le Onoranze ai Caduti delle Foibe.
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